La dematerializzazione dei documenti è un passaggio cardine della trasformazione digitale dell’impresa, e per questo è da tempo un tema di attualità. La pandemia l’ha reso ancor più centrale perché ha esaltato tutte le inefficienze di una gestione manuale e cartacea dei flussi documentali, rendendoli di fatto inattuabili in un contesto di lavoro smart e da remoto.
Ma cosa si intende con l’espressione dematerializzazione dei documenti? È un sinonimo di digitalizzazione? Come si attua e quali i suoi benefici?
Spesso confusa col termine digitalizzazione, la dematerializzazione dei documenti identifica i processi atti a convertire in digitale documenti originariamente cartacei, mantenendo lo stesso valore giuridico e probatorio degli originali. La “conversione” del documento comprende anche la corretta conservazione, atta a preservarne il valore legale nel corso del tempo e a soddisfare i relativi obblighi di legge. Una volta dematerializzati, i documenti sono facilmente gestibili e consultabili, anche da remoto attraverso tutti i dispositivi connessi, dal notebook allo smartphone.
Dematerializzazione dei documenti, però, non è una mera scansione. Il documento elettronico deve avere lo stesso valore di quello cartaceo, sul quale sono state apposte delle firme e, magari, anche timbri e punzoni. Inoltre, il documento elettronico non può rappresentare alcuni elementi tipici del supporto cartaceo: il tipo di carta e lo spessore, per esempio. Per tutti questi motivi, il processo di dematerializzazione dei documenti è regolato da un’apposita normativa in evoluzione. Si parte senza dubbio dal Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) del 2005, ma non vanno dimenticati interventi normativi come il DPCM del 21/03/2013 relativo alle tipologie documentali che impongono la conservazione dell’originale cartaceo o l’autenticazione tramite pubblico ufficiale. Fondamentale è poi il Regolamento europeo eIDAS nella disciplina delle firme elettroniche e le linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici di AgID del settembre 2020.
Le finalità della dematerializzazione dei documenti sono diverse e, almeno in parte, si confondono con i benefici. Per semplificare, ne identifichiamo quattro:
La dematerializzazione dei documenti non è fine a se stessa. Molte aziende, infatti, la considerano (correttamente) come il primo passo di un percorso più ampio, che è quello della piena digitalizzazione dei processi aziendali. Solo partendo da documenti dematerializzati è infatti possibile realizzare una gestione documentale snella e informatizzata lungo tutto il ciclo di vita dei documenti e, soprattutto, creare processi digitali in tutto e per tutto, con benefici di efficienza, innovazione, agilità e abbattimento dei costi.
Come anticipato, dematerializzazione e digitalizzazione non sono sinonimi. Nel primo caso, infatti, è forte il concetto di “conversione” da un formato all’altro, nel secondo vi è invece quello di produzione originariamente digitale e di integrazione del documento (o meglio, delle informazioni in esso contenute) in processi digitali end-to-end che, come tali, possono fare ricorso all’automazione per abbattere gli errori e accelerare le procedure ripetitive.
Osservata dall’alto, la dematerializzazione dei documenti impone l’impiego di piattaforme dedicate (Enterprise Content Management, soluzioni di Conservazione a norma, di Firma…), che si facciano carico di gestire il documento in una veste completamente digitale. Centralizzazione delle informazioni, facile reperimento delle stesse, garanzia di immodificabilità e sicurezza sono alcune delle loro promesse, che si sommano alla gestione di workflow documentali e all’archiviazione a norma.
Da quanto detto, appaiono piuttosto evidenti i benefici della dematerializzazione dei documenti, che comunque riassumiamo in alcuni punti: