Il tema della digitalizzazione dei processi aziendali non perde in alcun modo la propria centralità nell’agenda delle imprese italiane. Il concetto è estremamente ampio, poiché - di fatto - digitalizzare significa impiegare nuovi strumenti per snellire, semplificare, accelerare e automatizzare i processi di lavoro. La digitalizzazione dei processi aziendali è dunque un tema pervasivo all’interno delle organizzazioni: coinvolge la gestione dei documenti fiscali e amministrativi così come le risorse umane, la comunicazione interna ed esterna, la produzione industriale, la logistica, il marketing e qualsiasi altra attività e funzione contribuisca all’ecosistema aziendale. Non è un caso che, proprio questo tema, nonché la connessa dematerializzazione documentale, tengano banco da anni e si pongano come primario obiettivo per moltissime aziende, italiane ed estere.
Ma cosa si intende, a livello pratico, per digitalizzazione dei processi aziendali? In sostanza, ciò consiste nell’affidare a un software, a una piattaforma informatica, un intero workflow (non un semplice documento) che, fino a ieri, è sempre stato gestito in modalità manuale.
Attenzione, inoltre, a coglierne l’estensione precisa: la dematerializzazione del processo ha sì a che fare con l’eliminazione della carta e degli spazi fisici dedicati alla sua conservazione, ma è un concetto che va oltre poiché introduce il vero elemento chiave di tutto, cioè l’automazione.
Sostituire un processo manuale con uno digitalizzato significa non dover seguire dei workflow frammentati che coinvolgono e-mail, documenti cartacei, file di ogni genere e natura e strumenti non integrati. Digitalizzare, nel senso più ampio e migliore del termine, significa sì eliminare il processo manuale, ma anche perfezionare le procedure in essere sulla base dei dati che le stesse producono e che possono essere analizzati e trasformati in valore tangibile.
I dati relativi all’Italia dimostrano una situazione in chiaro divenire, favorita dall’introduzione della fattura elettronica e NSO: per esempio, l’ultimo Rapporto dell’Osservatorio Digitalizzazione di Assolombarda ha sottolineato una discreta differenza - sotto questo profilo - tra imprese piccole, medie e grandi, evidenziando comunque elementi interessanti quali l’impiego di un ERP nel 92% delle grandi aziende e nella presenza di un IT manager nel 100% delle imprese con più di 250 dipendenti, percentuali che si riducono progressivamente insieme alle dimensioni dell’attività. Da notare che solo il 22% delle aziende manifatturiere sta effettivamente impiegando soluzioni di smart manufacturing.
Più interessante ancora, citando sempre l’Osservatorio, è il concetto di catena digitale: con tale espressione si intende misurare il grado di digitalizzazione di tutto il processo aziendale, dai fornitori fino alla gestione dei clienti. Il responso, qui, non è dei migliori: solo l’8% delle aziende B2C e il 5% delle aziende B2B sono integrate sia a monte sia a valle. Grossa differenza, come peraltro piuttosto prevedibile, c’è non solo tra piccole e grandi imprese, ma anche tra player affermati e startup innovative. I primi, perfettamente consci della necessità di evolvere e sfruttare la digitalizzazione dei processi per raggiungere nuovi livelli di efficienza, faticano non tanto nell’introduzione di nuova tecnologia o nell’avere un approccio olistico alla digitalizzazione dei processi, ma nella gestione del cambiamento (change management), una fase essenziale di qualsiasi progetto di deployment di nuova tecnologia in ambito aziendale.
Questo è uno dei motivi per cui in molti settori le startup stanno conquistando quote di mercato interessanti, tra l’altro favorite da una normativa pro-innovazione: si pensi, per esempio, alle fintech, che fanno proprio della completa digitalizzazione, dell’approccio cloud native, dell’agilità e di modelli di business innovativi il proprio cavallo di battaglia, sorretto da PSD2 e dalla API economy.